«Fin dall’inizio lei è stata più importante di chiunque altro. Nel 1976 quando è iniziato il punk , è stata ancora in un certo senso significativa, al contrario di Chanel» Stephen Jones
Abiti come fatti di vetro, guanti con unghie laccate, capelli a forme di scarpa, costole cucite in evidenza per mostrare lo scheletro come visto ai raggi x, abiti con cassetti e squarci tra i tessuti per mostrare quella che appare come viva carne.
Potrebbe essere una passerella del 2020 ma questi vestiti hanno sfilato a Parigi negli anni ’30. L’autrice è Elsa Schiaparelli, “l’italiana che disegna vestiti” come la bolla la rivale Coco Chanel.
Elsa Schiaparelli sa che l’abito è comunicazione e lei ha voglia di comunicare la sua ironia, l’insofferenza agli schemi e il suo amore per il surrealismo. Elsa Schiaparelli crea legami, sfrontati, impossibili, tra vecchio e nuovo, tra eleganza e provocazione, tra arte e scienza.
Nipote di Giovanni Virginio Schiaparelli, celebre astronomo italiano e senatore della repubblica, Elsa si lascia ispirare dai racconti dello zio sul pianeta Marte e le stelle cadenti: nell’inverno del ’38 veste di stelle, pianeti e comete le sue provocatorie clienti.
Prima n°1: Gli Schiaparelli
Cavalca l’innovazione sfruttando i materiali di nuova generazione: il rodhophane , la corteccia degli alberi, la carta, la plastica. e anticipa quello che avverrà con la space age quando Paco Rabanne soppianterà ago e filo per creare 12 vestiti non indossabili… E vestire Barbarella provocatoria paladina dello spazio.
Ma la vera provocazione degli anni ’60 è mandare davvero degli uomini nello spazio, con tute vere che li proteggano dal nulla cosmico. E se sulle passerelle ci si può anche permettere di scherzare e di stare scomodi , nello spazio, quello vero bisogna diventare serissimi. Nessuna azienda è più seria della Playtex, fabbrica di reggiseni che sa perfettamente come adattare il tessuto al corpo; dopo diversi tentativi staranno le sartine della Playtex a dare sicurezza ad Armstrong, Aldrin e Collins cucendo insieme 21 stati di materiale brevettato e fabbricato dalla DuPont.
Puntata n°2: La Space Age
Il sodalizio della NASA con la DuPont non cesserà più. Siamo alla viglia del lancio le più innovativo telescopio spaziale mai progettato, il sostituto dell’Hubble Space Telescope: il James Webb Telescope, che tutti gli astronomi attendono per svelare i nuovi segreti dell’universo. Per funzionare, il JWT dovrà essere protetto dai caldi raggi solari che non farebbero funzionare i suoi strumenti: 5 strati di Kapton e Kevlar – materiali brevettati dalla Dupont – dallo spessore quasi di un capello umano lo isoleranno termicamente rendendo possibile l’osservazione nella banda infrarossa dello spettro elettromagnetico.
Puntata n°3: Che succede?
Forse non tutti gli astronomi sanno che… Per studiare l’universo bisogna avere l’abito giusto!
L’eredità di Schiaparelli è immensa: sono quelli come lei che insegnano ad unire i puntini e guardare sempre più lontano.
Se lo saranno pur chiesto gli scienziati della NASA quando Kennedy ha gridato al mondo “Abbiamo deciso di andare sulla Luna”.
Certo non partivano da zero: qualche pilota d’alta quota già indossava tuta pressurizzata e maschere per l’ossigeno. Ma una cosa è star nell’abitacolo di un jet un’altra saltellare sul nostro satellite.
Il corpo umano è fatto per vivere su un pianeta Terra che ha un’accelerazione di gravità di 9,8 m/s2, una pressione di una Atmosfera (1,01325 bar), una temperatura intorno ai 20 gradi, protetto dai raggi cosmici da uno spesso strato di gas che chiamiamo atmosfera e che contiene ossigeno.
Sulla Luna non c’è nulla di tutto ciò: gravità di un sesto, niente pressione, temperature da -100 a + 100, via libera ai raggi cosmici ma niente ossigeno.
Che ci si può fare? Ci si copre! come l’uomo ormai fa da millenni: c’è chi ritiene che la più grande invenzione dell’uomo sia stato l’ago con il quale ha costruito le prime calzature, le prime pellicce ed ha conquistato le regioni apparentemente meno ospitali del pianeta. Ora si tratta di affinare gli strumenti per conquistare zone ancora meno ospitali…
Dal velcro al goretex passando per il Memory Foam, gli occhiali REVO, i moon boot, la conquista dello spazio ha richiesto nuovi materiali, nuove tecnologie, nuove idee… e ha contribuito ad abbattere qualche tabù.
Nello spazio ci si va con la geometria, con la matematica, calcoli perfetti di orbite circolari o ellittiche; è il trionfo del progresso scientifico che apre una nuova via da percorrere; André Courrèges assorbe tutto l’interesse per lo spazio e prima ancora che l’uomo metta piede sulla Luna, nel 1964 fa sfilare in passerella le sue Moon Girls: celebra la geometria attraverso mises stilizzate, triangolari o trapezoidali, linee dritte, drittissime, caschi enormi, occhiali e gonne corte anzi cortissime… le minigonne.
«Seguivamo la stessa logica, anche se creavamo moda per persone diverse. […] Nessuno ha inventato la mini, nasceva da una volontà. André Courrèges ha scioccato l’alta moda, portandola nel moderno. Questa è stata la sua rivoluzione. Io ho semplicemente realizzato un desiderio comune e accorciato le gonne per ragazze come me.» Mary Quant
Emblema dell’emancipazione femminile, della volontà di muoversi liberamente, la minigonna è la regina dell’immaginario scientifico di conquista dello spazio: compare infatti per la prima volta nel film Il Pianeta Proibito come abito di scena su idea della costumista Helen Rose nel 1956, dieci anni prima che invadesse passerelle e strade londinesi. Simbolo del futuro, la minigonna diventa poi parte dell’uniforme standard dell’equipaggio femminile di Star Trek per volontà del produttore Gene Roddenberry.
Certo, la moda futurista di Courrèges la vuole in plastica, da indossare con stivali alti in PVC; gli stilisti della space age infatti – Pierre Cardin e Paco Rabanne tra i tanti – si lasciano ispirare da tecnofibre e dai nuovi materiali sfruttati nella corsa allo spazio.
Alluminio, plastica, plexiglass, carta, fibre ottiche, PVC, vinile, fibra di vetro diventano i tessuti del presente che strizza l’occhio al futuro.
“Paco Rabanne? Non è un sarto, ma un metallurgico” commenta Coco Chanel .
Dallo spazio alla vita quotidiana, dall’estetica al comfort, l’uomo ha fatto della necessità di coprirsi (o scoprirsi) un’arte che ha assorbito le più grandi innovazioni culturali e tecnologiche, comunicando attraverso gli abiti nuove idee e nuovi orizzonti.
Complice un rinnovato interesse per l’astronomia e lo spazio che dalla cinematografia alla letteratura celebra la potenza visionaria di viaggi interplanetari, tunnel spazi-temporali e onde gravitazionali oggi viviamo una nuova “space age”. Avete il vestito giusto per l’occasione?
“Rivestirsi di cielo: tecnologia e innovazione tra le stelle”
Forse non tutti si accorgono che è la vigilia della notte di Halloween; oppure non sentono Orson Welles dichiarare che si tratta della trasposizione radiofonica del romanzo “La guerra dei mondi“ del – quasi omonimo – George Herbert Wells, del 1897.
Il risultato è che il 30 ottobre 1938 milioni di persone si riversano nelle strade e invadono le chiese, terrorizzate dagli annunciatori radiofonici che interrompendo i programmi di musica informano la popolazione che i marziani sono sbarcati nel New Jersey e stanno attaccando gli Stati Uniti d’America.
I marziani? E quando sono comparsi??
E’ il 1877 quando Giovanni Virginio Schiaparelli dalla Cupola dell’Osservatorio di Brera a Milano con il suo nuovissimo e potentissimo telescopio riesce per la prima volta a guardare la superficie di Marte e osserva che :
“Tutta la vasta estensione dei continenti è solcata per ogni verso di una rete di numerose linee o strisce sottili di color oscuro. Queste linee o strisce sono i famosi canali di Marte.” E con minuzioso e paziente lavoro Schiaparelli disegna le splendide e dettagliatissime mappe ormai passate alla storia.
Ma che tipo di canali sono? Canali naturali per lo scolo delle acque o canali artificiali costruiti da qualcuno per provvedere al bisogno idrico di una popolazione marziana?
Schiaparelli non si sbilancia e ribadisce che “Non occorre supporre qui l’opera di esseri intelligenti.”
Tuttavia, alla fine dell’800 quando buona parte della comunità scientifica si sta entusiasmando all’idea dell’esistenza dei marziani, anche Schiaparelli – ma solo sulla rivista divulgativa Natura e Arte – si lascia andare alla fantasia e scrive:
“Concediamo ora alla fantasia un più libero volo: […] l’idea che da qualche parte almeno secondaria vi possa avere una razza di esseri intelligenti non può essere considerata come interamente assurda.
Non sarà difficile disegnare con l’immaginazione i grandi argini necessari per contenere nei giusti limiti l’inondazione boreale; Marte dev’esser certamente il paradiso degli idraulici.
E passando ad un ordine più elevato di idee interessante sarà ricercare qual forma di ordinamento sociale sia più conveniente ad un tale stato di cose; se l’intreccio onde son tra loro inevitabilmente legati gli abitanti d’ogni valle, non rendano qui assai più pratica e più opportuna, che sulla terra non sia, l’istituzione del socialismo collettivo, per cui Marte potrebbe diventare anche il paradiso dei socialisti.”
E’ il 1895.
Due anni dopo, nel 1897, Herbert George Wells pubblica La guerra dei mondi, in cui i marziani sbarcano sulla Terra pronti a conquistarla; un racconto così vivido, terrificante ed efficace da essere riprodotto in due vesioni cinematografiche (1953 e 2005) e nella celebre versione radiofonica di Orson Welles che, forse più di ogni altra, riscuote successo e reazioni di pubblico, seminando il panico negli Stati Uniti.
Ma è andata veramente così?
Quella del panico scaturito della trasmissione di Orson Welles pare essere una leggenda dura a morire; ad alimentarla sotto, sotto sembra ci sia il contenzioso tra l’informazione scritta e quella radiofonica.
Tra gli anni ’20 e gli anni ’30 i giornali perdono molti introiti pubblicitari per colpa della radio e sfruttano la trasmissione de “La guerra dei mondi” per screditare il mezzo sonoro, reo di puntare più sul sensazionalismo che sulla veicolazione di corrette informazioni.
Il New York Times il 31 ottobre 1938 nell’editoriale “Terror by radio” depreca l’uso del notiziario a mo’ di finzione drammatica accusandolo di creare un precedente che esautori il notiziario di autorità e onestà.
Dopotutto la radio è appena nata e la sua comparsa non è ancora stata assorbita ed accettata.
Figlia del fonografo e del telegrafo, negli anni ’20, la radio entra in molte case, come strumento di informazione e di svago (la prima trasmissione di un codice morse avviene nel 1895 ad opera del ventunenne Guglielmo Marconi, mentre prima trasmissione radiofonica è considerata quella di Frank Conrad dal proprio garage a Pittsburgh, in Pennsylvania nel 1916), registrando un boom di vendita nel 1922 nei soli Stati Uniti di 400.000 unità.
Lo sviluppo della radio – e dei programmi musicali – vengono salutati con diffidenza e rabbia sia dalla carta stampata che dalle compagnie produttrici di dischi e apparecchi musicali.
Tuttavia col tempo (e mezzi più o meno leciti) le industrie discografiche individuano nella radio un’alleata nella veicolazione e nella sponsorizzazione della musica da loro prodotta. E nessuno la fermerà più…
Negli anni ’60 lo scenario si ripete … Solo che queste volta è la radio da difendere e il nuovo mezzo di cui diffidare è la televisione.
Alla fine degli anni settanta si fa strada un nuovo mezzo di diffusione della musica: il video clip (per altro già sperimentato con successo dai Beatles quindici anni prima per far fronte a tutte le richieste di partecipazione). Più lungo della semplice pubblicità ma più breve di un corto metraggio, il video clip permette di accostare immagini a suoni e parole senza la necessità di un racconto razionale ma onirico e allusivo; tra i primi video realizzati c’è “Bohemian Rapsody” dei Queen (1975).
A pochi anni di distanza dalla disincanta risposta dei Buggles con “Video killed the radio star “(1979), nel 1981, nasce un intero canale televisivo dedicato alla trasmissione dei video musicali: MTV.
E sono proprio i Queen, così protagonisti del mezzo televisivo, a lasciarsi prendere dalla maliconia per quello strumento che lascia la fantasia libera di volare.
Scritta nel 1983 da Roger Taylor, batterista del gruppo, ispirandosi alle parole del figlio, la canzone Radio gaga entra nell’album The Workdel 1984 e raggiunge il numero uno in classifica in 19 paesi.
I primi versi della canzone sono dedicati proprio alla trasmissione de “La guerra dei mondi” di Orson Welles.
You gave them all those old time stars Through wars of worlds – invaded by Mars
Il video – nel 1984 non si poteva già più fare a meno del mezzo televisivo – si sviluppa sulle scene del celeberrimo film di fantascienza Metropolis di Fritz Lang del 1927.
Radio gaga è la seconda canzone cantata dai Queen al Live Aid allo stadio di Wembley, sul ritmo di 72000 persone che battono le mani all’unisono.
E’ l’incoronazione del mezzo televisivo a diffusore di musica: il 13 luglio 1985 si stima che ben due miliardi di persone sparse su centocinquanta paesi assistano alla diretta del concerto rock Live Aid, tenutosi allo scopo di ricavare fondi per le popolazioni colpite dalla carestia in Etiopia: uno dei programmi televisivi (se non il programma televisivo) più seguito di tutti i tempi.
… E 72000 persone cantano insieme:
Radio, sai che c’è di nuovo?
Radio, qualcuno continua ad amarti…
Radio Gaga – Queen
Radio – radio
I’d sit alone and watch your light
My only friend through teenage nights
And everything I had to know
I heard it on my radio
You gave them all those old time stars
Through wars of worlds – invaded by Mars
You made ‘em laugh – you made ‘em cry
You made us feel like we could fly
Radio
So don’t become some background noise
A backdrop for the girls and boys
Who just don’t know or just don’t care
And just complain when you’re not there
You had your time, you had the power
You’ve yet to have your finest hour
Radio – radio
All we hear is radio ga ga
radio goo goo
radio ga ga
All we hear is radio ga ga
radio blah blah
Radio what’s new ?
Radio, someone still loves you
We watch the shows – we watch the stars
On videos for hours and hours
We hardly need to use our ears
How music changes through the years
Let’s hope you never leave old friend
Like all good things on you we depend
So stick around ‘cos we might miss you
When we grow tired of all this visual
You had your time – you had the power
You’ve yet to have your finest hour
Radio – radio
All we hear is radio ga ga
Radio goo goo
Radio ga ga
All we hear is radio ga ga
Radio goo goo
Radio ga ga
All we hear is radio ga ga
Radio blah blah
Radio what’s new ?
Someone still loves you
Radio ga ga (ga ga)
Radio ga ga (ga ga)
Radio ga ga (ga ga)
You had your time – you had the power
You’ve yet to have your finest hour
Radio – radio
***
Sedevo da solo a guardare la tua luce
La mia unica amica nelle notti da adolescente
E tutto ciò che dovevo sapere
Lo sentivo alla radio
Radio
Hai portato loro tutte quelle stelle dei vecchi tempi
Attraverso guerre dei mondi – invasioni da Marte
Li facevi ridere – li facevi piangere
Ci facevi sentire come se potessimo volare
Allora non diventare
un qualsiasi rumore di sottofondo
Uno sfondo per ragazze e ragazzi
Che semplicemente non sanno
o semplicemente non gliene importa
E sanno solo lagnarsi quando non ci sei
Hai fatto il tuo tempo, hai avuto potere
Devi ancora vivere la tua ora migliore
Radio
Tutto ciò che ascoltiamo è radio ga ga
Radio goo goo
Radio ga ga
Tutto ciò che ascoltiamo è radio ga ga
Radio bla bla
Radio, che c’è di nuovo
Radio, qualcuno ti ama ancora!
Guardiamo gli spettacoli – guardiamo le stars
In video per ore e ore
Non abbiamo quasi bisogno di usare le orecchie
Com’ è cambiata la musica nel corso degli anni
Speriamo che tu non ci lasci mai, vecchia amica
Abbiamo bisogno di te come di tutte le buone cose
Dunque rimani perché potremmo sentire la tua mancanza
Quando saremo stufi di tutte queste cose in video
Hai fatto il tuo tempo, hai avuto potere
Devi ancora vivere il tuo momento d’ oro
Radio – Radio
Tutto ciò che ascoltiamo è radio ga ga
Radio goo goo
Radio ga ga
Tutto ciò che ascoltiamo è Radio ga ga
Radio goo goo
Radio ga ga
Tutto ciò che ascoltiamo è Radio ga ga
Radio bla bla
Radio che c’è di nuovo?
Radio, qualcuno ti ama ancora!
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