4’33” – John Cage

John Cage è bellissimo.

Di quella bellezza che  – qualcuno ha già detto – salverà il mondo; di quella bellezza che apre il respiro, la mente, l’anima e li fa sprofondare in una fragorosa risata.

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Nel 1952 Cage ha quarant’anni e Woodstock ancora non sa che è destinata ad ospitare due eventi fondamentali nella storia della musica.

Hendrix-WoodstockQuello che tutti conoscono, il Festival di Woodstock del 1969,  per la precisione non si tiene nemmeno a Woodstok ma lì vicino: a Bethel; quello che (quasi) nessuno conosce è l’evento che si tiene il 29 agosto 1952, data della prima presentazione al pubblico di 4’33”, un’opera  è così significativa che Kyle Gann, compositore e critico musicale statunitense, divide il panorama muscale in due tempi: quello precedente e quello successivo a 4’33”.

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4’33’’ è un’opera di John Cage  in tre movimenti in cui il pianista, alla prima è David Tudor, è tenuto a non suonare lo strumento.

È un invito di Cage ad ascoltare il silenzio inteso come inevitabile e incessante composizione di suoni. La durata del pezzo nel complesso è di 273 secondi e secondo alcuni (D.Berstein e R.Young) si tratta di un riferimento alla temperatura dello zero assoluto, 273,15°,  irraggiungibile tanto quanto il silenzio assoluto.

Nel 1951 Cage  visita una camera anecoica dell’Università di Harvard, camere concepite per abbattere il prodursi di riverberi, riflessioni e assorbire al massimo ogni rumore. Convinto di poter finalmente percepire il silenzio assoluto Cage si stupisce di sentire ancora due rumori  in sottofondo: uno alto e uno basso; l’ingegnere che lo accompagna  lo informa trattarsi rispettivamente del suo sistema nervoso e del suo apparato circolatorio.

John Cage realizza che mai nella sua vita avrebbe potuto “sentire” silenzio e che pertanto il silenzio per come noi lo intendiamo non esiste.

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“Il silenzio non è acustico, è un cambiamento della mente, un mutare direzione. Dedicai la mia musica al silenzio. Il mio lavoro divenne un’esplorazione della non intenzione. Per portarlo avanti fedelmente avevo sviluppato un complicato modo di comporrre utilizzando le operazione casuali dell’I-Ching, facendo sì che la mia responsabilità consistesse nel porre domande invece che nel fare scelte.” John Cage

2Lavori come Music of changes, in cui lo sparito è determinato dalla casualità attraverso l’utilizzo dell’I-Ching, o Atlas Ellipticalis, in cui la posizione della stelle nel cielo ripoduce la posizione delle note sul pentagramma, intendono focalizzare l’attenzione sul compositore, sull’assenza della sua intenzionalità e sul concetto di musica. Che cos’è dunque la musica?

“La funzione dell’arte è imitare la natura nel suo modo di operare. La nostra comprensione del suo modo di operare cambia in accordo con il progredire della scienza.”

377px-Bundesarchiv_Bild183-R57262,_Werner_HeisenbergChe cos’è la scienza? Una rappresentazione della realtà o del nostro pensiero? Le leggi naturali non conducono ad una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere è piuttosto rimesso al gioco del caso”. E’ Heisenberg che parla ora; l’Heisenberg che formula nel 1927 il principio di indeterminazione che costringe  lo scienziato a pensarsi come parte della realtà da esplorare e inevitabile modificatore della stessa.

Ciò che accomuna lo scienziato al compositore è l’analisi che entrambi conducono sul processo e sull’ interpretazione della realtà stessa.

“Considera ogni cosa come un esperimento” recita la quarta delle 10 rules per teachers, studentes and life attributi a John Cage.

cagemedCage rivendica il diritto di ogni suono ad essere ascoltato.

In un’intervista realizzata presso la sua abitazione, con una finestra spalancata sulla Sixth Avenue di New York, Cage dichiara “l’esperienza sonora che preferisco è l’esperienza del silenzio e oggi il silenzio quasi ovunque nel mondo è il traffico. Se ascolti Beethoven o Mozart sentirai sempre le stesse note ma se ascolti il traffico ti accorgerai che è sempre diverso”. (http://www.youtube.com/watch?v=pcHnL7aS64Y).

Questa non è che una piccola finestra sull’immenso orizzonte aperto da Cage. Ascoltando anche una minima parte della sua vastissima produzione ci si rende conto di quanta parte della musica rock , dai Pink Floyd a Byork passando per il noise rock  e Brian Eno, paga un debito immenso verso quella figura così rivoluzionaria nel panorama culturale del Novecento.

e per la rubrica “Forse non tutti sanno che…”

John Cage fa divesi esperimenti anche in Italia, presso lo Studio di Fonologia della RAI di Milano (uno dei più importartanti al mondo a quell’epoca), in compagnia di Luciano Berio e Bruno Maderna.

Nel 1959 in occasione di una sua permanenza nella capitale lombarda partecipa ad alcune puntate di Lascia o raddoppia in qualità di esperto di funghi e prima di vincere il montepremi finale, sotto gli occhi esterrefatti di Mike Bongiorno, realizzerà in studio alcune della sue geniali composizioni .

1959_Lascia_o_raddoppia_RC7da La Stampa di venerdì 6 febbraio 1959, n°32, pag. 4:

Conquista le 640 mila lire l’americano John Cage, compositore di musiche avveniristiche e conoscitore di funghi. Prima di entrare in cabina, esegue un concerto intitolato Rumori quotidiani. Strumenti: un pianoforte (scarsamente adoperato), due radio, un frullatore, un innaffiatolo, una tinozza, un piccolo petardo, un fischio; un gong ed altri aggeggi strani. Risultato: un baccano carnevalesco. Il pubblico accetta lo scherzo e applaude.

da La Stampa di venerdì 13 febbraio 1959, n°38, pag. 4:

Ultimo concorrente vittorioso: l’americano John Cage, autore di musiche avveniristiche: una macchietta ormai sfruttata che non dice più nulla. (http://www.johncage.it/1959_lascia_o_raddoppia.html)

… a non saper ascoltare…

Pronti per 4’33”?

L’impero del blues – Bessie Smith

1) Primo assioma di Euclide: “Cose uguali ad una stessa cosa sono uguali tra loro.”

2) Nel 1865 la guerra di successione è al suo IV° anno.

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Cosa ha a che fare questo con la musica, con il rock e con la scienza?

Nel corso del XVIII e XIX secolo numerosi africani vengono importati in America per lavorare come schiavi nelle piantagioni del Sud; la loro musica si discosta molto dalla tradizione europea. Si tratta di una musica con cadenza ritmica molto regolare, basata su una scala pentatonica (ossia composta da cinque note) diversa da quella in uso in occidente.

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Il blues trae origine dai canti con struttura antifonale (di chiamata e risposta) che gli schiavi sono soliti cantare durante il lavoro, avvalendosi dell’uso della blue note, una nota che l’armonia classica considera dissonante.

Non è possibile dare una datazione precisa alla nascita della musica blues.

Una delle prime descrizioni viene dall’articolo Notes on negro music nel Journal of American Folklore del 1903, scritto da Charles Peabody, un archeologo che scava i tumuli degli Indiani vicino Stovall. Peabody descrive così il canto dei lavoratori neri afroamericani, nelle piantagione del Sud:

fieldnc1“[…] i distici e le improvvisazioni nel ritmo più o meno divisi in frasi, cantati in un’intonazione più o meno somigliante alla melodia. Queste canzonette e coppie di versi erano entrambi espressione di una costante generale, attribuibile ai modi di fare, ai costumi ed ai fatti della vita del nero o ad un adattamento speciale improvvisato sullo stimolo del momento, riguardo ad un argomento in quel momento interessante”.

Tuttavia il canto degli schiavi afroamericani poco sarebbe contato se non si fosse inserito in un complessivo processo di mutamento sociale la cui tappa fondamentale è l’emanazione, nel 1865,  del XIII° emendamento, fortemento voluto da Abraham Lincoln che dichiara la schiavitù fuori legge.

Così scrive Booker T. Washington:

imagesCA204NOD“Man mano che il gran giorno si avvicinava, negli alloggi degli schiavi si sentiva cantare più gente del solito. Era un canto più baldanzoso, più alto e proseguiva nella notte fino ad ore più tarde. La maggior parte dei versi delle canzoni della piantagione si riferisce in qualche modo alla libertà…. Un uomo forestiero all’aspetto (suppongo un funzionario degli Stati Uniti) tenne un breve discorso e quindi lesse un documento piuttosto lungo, credo il Proclama di emancipazione. Dopo la lettura ci fu detto che eravamo tutti liberi e potevamo andare dove volevamo e quando volevamo. Mia madre, che era in piedi al mio fianco, si chinò su noi bambini e ci baciò, mentre lacrime di gioia le solcavano le guance. Ci spiegò cosa significava quanto era successo, ovvero che questo era il giorno per cui aveva pregato così a lungo,  temendo di non riuscire a vivere abbastanza per vederlo.” (B.T.Washington, Up from slavery, 2012, pg.19-20)

E’ solo allora che i neri afroamericani portano la musica fuori dalle piantagioni contaminando la cultura occidentale: gli ex- schiavi musicisti iniziano a portare la loro musica fuori dalle piantagioni e si sviluppano i juke joint, luoghi in cui i neri si trovano per ascoltare musica  e ballare dopo la giornata di lavoro.

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La musica afroamericana basata della scala pentatonica viene allora ristrutturata utilizzando quella occidentale: la scala blues diventa Do, Mib, Fa, Solb, Sol, Sib, Do; sebbene questa perda alcune note della scala diatonica, conserva quelle che vengono chiamate le blue note,  note non riproducibili nella scala europea.

I pianisti del Novecento, davanti alla difficoltà di non poter riprodurre con un singolo tasto la ricercata nota, rispondono con l’ingegno di darne l’idea suonando insieme o una dopo l’altra il Mi e il Mi bemolle e ottenendo quell’ effetto dissonante tipico dei canti africani.Immagine

Dissonante a tal punto da definire un intero genere: il termine Blue (che deriva dall’espressione “to have the blue devil”nel senso di essere triste) è infatti connesso al senso di nostalgia e tristezza tipico della musica afroamericana per come viene percepita all’orecchio di uditori europei abituati ad altri suoni.

Il blues nasce in tal senso da un limite fisico della musica occidentale e sappiamo quanto questa spaccatura sia stata fertile: dal blues prenderanno vita il jazz, il rhythm blues, il rock’n’roll e la musica pop.

Dal punto di vista sociale il blues dà un’identità alla popolazione afroamericana legittimando la loro presenza, anche se con notevole lentezza, nel panorama culturale statunitense.

Non solo, il blues garantisce un ruolo di tutto rispetto alle donne che diventano le vere e inaspettate (agli inizi del ‘900 solo in Nuova Zelanda le donne avevano diritto di voto) protagoniste della musica degli anni ’20 e ’30.

Stiamo parlando di Mamie smith, Ma Rainey, Victoria Spivey   e dell’imperatrice del blues: Bessie Smith 

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Piccola curiosità: Nodoby Knows You When You’re Down and Out (realizzata precedentemente da altri muscisti e cantanti), una delle più celebri canzoni dell’artista viene reincisa da Bessie Smith il 15 maggio 1929 e viene pubblicata  venerdì 13 settembre, poco prima del crollo di Wall Steet (Martedì nero: 29 ottobre 1929). Il testo della canzone sembre una sinistra profezia…

Once I lived the life of a millionaire,
spendin’ my money I didn’t care
I carried my friends out for a good time,
buying bootleg liquor, champagne and wine

When I begin to fall so low,
I didn’t have a friend and no place to go
So if I ever get my hand on a dollar again,
I’m gonna hold on to it ‘til them eagle’s grin

Nobody knows you,
when you down and out
In my pocket not one penny,
and my friends I haven’t any…

But if I ever get on my feet again
Then I’ll meet my long lost friend
It’s mighty strange without a doubt
Nobody knows you when you’re down and out
I mean when you’re down and out

When you’re down and out, not one penny
And my friends, I haven’t any and I felt so low
Nobody wants me ‘round their door

Without a doubt
No man can use you when you’re down and out
I mean when you’re down and out

***

Un tempo facevo la bella vita del milionario
Spendevo tutto quel che avevo, non ci badavo affatto
Portavo fuori tutti i miei amici a divertirci
Compravo whiskey, champagne e vino di contrabbando

Poi ho cominciato a cadere così in basso
Ho perso tutti i miei buoni amici, non avevo un posto dove andare
Ho di nuovo messo le mani su un dollaro
Me lo terrò stretto finché non vedrò sorridere l’aquila

nessuno ti conosce
quando sei povero e disperato
In tasca nemmeno una moneta
E per quanto riguarda gli amici, non ne hai nessuno

Quando poi finalmente mi sono rimessa in piedi
ho ritrovato  i miei cari, vecchi amici.
è strano senza dubbio
che nessuno ti conosca quando sei povero e disperato.
intendo quando sei povero e disperato.

quando sei povero e disperato, nemmeno un penny,
E per quanto riguarda gli amici, non ne hai nessuno,e ti senti così giù
nessuno ti vuole attorno alla sua porta

senza alcun dubbio,
nessuno ti aiuta quando sei povero e disperato
Intendo quando sei povero e disperato