La moda è un balletto, è lo spruzzo d’acqua nel parco, l’orchestra più sublime dell’eleganza intuitiva… (C. Dior)
O un drappo di cielo stellato…Stilisti come Armani, Yves Saint Laurent, Vivienne Westwood, Dolce e Gabbana, Valentino non hanno resistito al fascino del cosmo e hanno fatto sfilare sulle passerelle di tutto il mondo pianeti, stelle, galassie, persino buchi neri e un pizzico di cosmologia; complice un rinnovato interesse per l’astronomia che dalla cinematografia alla letteratura, celebra la potenza visionaria di viaggi interplanetari, tunnel spazi-temporali e onde gravitazionali.
Giacca della collezione “Zodiaco” – Elsa Schiaparelli
E non è una novità. La moda assorbe tutto l’interesse per lo spazio e l’astronomia già alla fine degli anni sessanta: PierreCardin, Andre Courrèges e Paco Rabanne inaugurano la “spaceage” della moda lasciandosi ispirare da tecnofibre e nuovi materiali sfruttati nella corsa allo spazio; e già Elsa Schiaparelli, 30 anni prima, sfida la rivale Coco Chanel a colpi di giacche astronomiche e stravaganze surrealiste, sfruttando cellophane, vetro e plexiglass per abiti e accessori.
Insomma, da sempre l’uomo ha fatto della necessità di coprirsi un’arte che ha assorbito le più grandi innovazioni culturali e tecnologiche, comunicando attraverso gli abiti nuove idee e nuovi orizzonti.
Come pensare che l’astronomia, la più visionaria delle scienze, ne sia rimasta fuori?
“La moda nasce da fatti poco importanti, da una tendenza o anche dalla politica, ma mai dal tentativo di creare piccole pieghe o balze o da ninnoli. Il mondo viene tirato da ogni parte come un vecchio pallone; bisogna intuire il corso della storia e anticiparlo.” (Elsa Schiaparelli)
“Messaggio personale da parte di Filippo, Duca di Edimburgo :
Il 21 dicembre 1967 si è tenuto a Buckingam Palace un meeting del WWF […] Tra le tante persone del mondo dello spettacolo presenti, Spike Milligan ha suggerito la realizzazione di un album per il quale artisti, compositori e case discografiche avrebbero rinunciato agli introiti. Questo album è il risultato di quella idea […] I ricavi delle vendite andranno a sostegno degli animali in pericolo di estinzione. […] Non posso fare altro che augure a questo progetto un grande successo”.
E’ quanto si legge sul retro dell’album No one’s gonna change our world, pubblicato nel 1969 e composto da vari artisti, sotto la guida di Spike Milligan, attore, scrittore e musicista irlandese; la canzone che apre l’album è Across the universe dei Beatles, fortemente voluta dallo stesso Milligan dopo essersi recato negli studi di registrazione dei Fab Four nel febbraio 1968.
In preda al fascino delle dottrine orientali, la canzone celebra l’interesse dei Beatles per la meditazione trascendentale con immagini che si susseguono incessantemente ma lasciano imperturbata la mente e il cuore di chi ripete no one’s gonna change my world; nel testo compare anche il mantra “Jai guru deva om” che significa “grazie, ti saluto maesto divino” a cui viene aggiunta la sillaba sacra “Om“.
I Beatles pensano ad una uscita della canzone mentre sono in viaggio per l’India, ma cedono all’invito di Milligan pubblicando il singolo Lady Madonna e lasciando Across di Universe come inedito e pronto per essere inserito in un progetto benefico.
Il rock’n’roll non è nuovo al coinvolgimento in ambito sociale: fin dagli esordi ha insegnato ai giovani a fare rete, ad imbracciare le chitarre come fossero armi per distruggere un vecchio sistema valoriale celebrando i valori di pace, amore, libertà, uguaglianza e rottura contro gli schemi pestabiliti. Nel 1962 Bob Dylan pubblica Blowin ‘in the wind: il rock si fa impegnato. E si impegna.
Si impegna ad attirare l’attenzione sui problemi ambientali, delle popolazioni in difficoltà (George Harrison per il Bangladesh nel 1971 e i Rolling Stones per le popolazioni colpite dal terremoto del Nicaragua 1973) , a raccogliere soldi per il sistema scolastico (San Francisco 1975), per l’Unicef (New York 1979) o Amnesty International (Londra 1976, 1979, 1981). Ma è ancora poco…
Il 13 luglio 1985 il rock’n’roll dimostra tutta la sua potenza con l’evento benefico che registra il più grande coinvolgimento della popolazione a livello mondiale: il Live Aid, un concerto rock tenutosi al Wembley Stadium di Londra e al JFK di Filadelfia, i cui proventi sono destinati alle popolazioni vittime della carestia in Etiopia. Frutto della genialità di Bob Geldof e di Midge Ure, il Live Aid, sfruttando l’enorme potenzialità del mezzo televisivo, è il primo evento planetario, simbolo dell’imminente fenomeno della globalizzazione.
Come superare un tale successo? Estendendo l’invito oltre il pianeta Terra.
Il 4 febbraio 2008 per festeggiare i 40 anni della canzone, i 45 anni del Deep Space Network e i 50 anni dalle NASA, Across The Universe viene trasmessa via radio nell’universo in direzione della Stella Polare e il feb four diventa l’Across the universe day
Ora, un rapido calcolo ( 2008 – 50= 1958) mostra che la NASA non era ancora nata quando, il 4 ottobre 1957, il satellite russo Sputnik 1 vola sopra le teste degli americani. In quegli anni gli Stati Uniti sono persi in diversi istituti tra esercito e marina che si occupano in maniera indipendente e un po’ confusa di razzi e missili. E’ l’Unione Sovietica a dare il via alla corsa allo spazio: lei c’è e sta dettando le regole del gioco. Preoccupato dai progressi russi in campo tecnico scientifico, il Congresso degli Stati Uniti chiede un intervento decisivo alle forze in gioco: il 29 luglio del 1958 il presidente Eisenhower firma l’atto con cui costituisce la National Aeronautics and Space Administration sulle ceneri della NACA di cui erediterà gli 8000 impiegati e il badget annuale di 100 milioni di dollari. La NASA assorbirà i maggiori laboratori dispersi sul suolo statunitense, unendo le forze in un unico progetto di conquista dello spazio che, iniziato a rilento, porterà tra gli anni ’60 e gli anni ’70 ben 12 uomini sulla Luna.
Fin da subito la NASA comprende la fondamentale importanza della comunicazione via radio e dà il via alla realizzazione di una rete di antenne – leggi radiotelescopi – di supporto per le missioni interplanetarie e di esplorazione del sistema solare. Nel 1963 viene istituito ufficialmente il Deep Space Network; il temine deep – profondo – sta ad indicare che la rete, composta da tre antenne situate in California, Madrid e Canberra, è pensata per funzionare al meglio con le sonde inviate nello spazio profondo: ad una distanza minima di 30000 km dalla Terra una sonda è visibile sempre da almeno uno degli apparecchi di radiocomunicazione.
Partite alle 19:00 di sera del 4 febbraio (orario della costa Est degli Stati Uniti – 1:00 di mattino del 5 febbraio orario italiano) dall’antenna di 70 metri sita nei pressi di Madrid, le onde radio della canzone dei Beatles viaggeranno – nemmeno a dirlo – across the universe e arriveranno alla stella polare tra circa 325 anni (stime precedenti davano la stella più lontana a 431 anni luce), dopo aver compiuto un viaggio di circa 3 milioni di miliardi di chilometri.
“Ben fatto! Mandate il mio amore agli alieni” – così saluta l’impresa Paul McCartney. Yoko Ono è ancora più visionaria: “Credo sia l’inizio di una nuova era in cui comunicheremo con miliardi di pianeti across the universe“. Di sicuro, viste le distanze astronomiche, dovremo essere molto pazienti.
Chissà… Potrebbe essere che il primo contatto con gli alieni avvenga attraverso note musicali, come aveva già previsto Spielberg in “Incontri ravvicinati del terzo tipo”; abbiamo centinaia di anni per prepare la risposta… Imbracciamo gli strumenti e cantiamo…
ACROSS THE UNIVERSE – THE BEATLES
Words are flowing out like endless rain into a paper cup
They slither while they pass, they slip away across the universe
Pools of sorrow, waves of joy are drifting through my open mind
Possessing and caressing me
Jai Guru Deva Om
Nothing’s gonna change my world
Nothing’s gonna change my world
Nothing’s gonna change my world
Nothing’s gonna change my world
Images of broken light which dance before me like a million eyes
They call me on and on across the universe
Thoughts meander like a restless wind inside a letter box
They tumble blindly as they make their way across the universe
Jai Guru Deva Om
Nothing’s gonna change my world
Nothing’s gonna change my world
Nothing’s gonna change my world
Nothing’s gonna change my world
Sounds of laughter shades of life are ringing through my open ears
Inciting and inviting me
Limitless undying love which shines around me like a million suns
It calls me on and on across the universe
Jai Guru Deva Om
Nothing’s gonna change my world
Nothing’s gonna change my world
Nothing’s gonna change my world
Nothing’s gonna change my world
Jai Guru Deva Om
Jai Guru Deva Om
***
Le parole scivolano come pioggia senza fine in una tazza di carta
Scivolano mentre passano, scivolano attraverso l’universo
Pozzanghere di dolore, onde di gioia scorrono nella mia mente aperta
Si impossessano di me e mi accarezzano
Jai Guru Deva Om
Niente cambierà il mio mondo
Niente cambierà il mio mondo
Niente cambierà il mio mondo
Niente cambierà il mio mondo
Immagini di luce spezzata mi danzano davanti come un milione di occhi
Mi chiamano ancora attraverso l’universo
pensieri si snodano come un vento irrequieto dentro una cassetta delle lettere
Inciampano ciecamente mentre seguono la loro strada attraverso l’universo
Jai Guru Deva Om
Niente cambierà il mio mondo
Niente cambierà il mio mondo
Niente cambierà il mio mondo
Niente cambierà il mio mondo
Suoni di risate di vite sfumate risuonano attraverso le mie orecchie aperte
Mi incitano e mi invitano
Amore senza fine mi splende intorno a me come un milione di Soli
Mi chiama attraverso l’universo
Jai Guru Deva Om
Niente cambierà il mio mondo
Niente cambierà il mio mondo
Niente cambierà il mio mondo
Niente cambierà il mio mondo
Cosa ha a che fare questo con la musica, con il rock e con la scienza?
Nel corso del XVIII e XIX secolo numerosi africani vengono importati in America per lavorare come schiavi nelle piantagioni del Sud; la loro musica si discosta molto dalla tradizione europea. Si tratta di una musica con cadenza ritmica molto regolare, basata su una scala pentatonica (ossia composta da cinque note) diversa da quella in uso in occidente.
Il blues trae origine dai canti con struttura antifonale (di chiamata e risposta) che gli schiavi sono soliti cantare durante il lavoro, avvalendosi dell’uso della blue note, una nota che l’armonia classica considera dissonante.
Non è possibile dare una datazione precisa alla nascita della musica blues.
Una delle prime descrizioni viene dall’articolo Notes on negro music nel Journal of American Folklore del 1903, scritto da Charles Peabody, un archeologo che scava i tumuli degli Indiani vicino Stovall. Peabody descrive così il canto dei lavoratori neri afroamericani, nelle piantagione del Sud:
“[…] i distici e le improvvisazioni nel ritmo più o meno divisi in frasi, cantati in un’intonazione più o meno somigliante alla melodia. Queste canzonette e coppie di versi erano entrambi espressione di una costante generale, attribuibile ai modi di fare, ai costumi ed ai fatti della vita del nero o ad un adattamento speciale improvvisato sullo stimolo del momento, riguardo ad un argomento in quel momento interessante”.
Tuttavia il canto degli schiavi afroamericani poco sarebbe contato se non si fosse inserito in un complessivo processo di mutamento sociale la cui tappa fondamentale è l’emanazione, nel 1865, del XIII° emendamento, fortemento voluto da Abraham Lincoln che dichiara la schiavitù fuori legge.
“Man mano che il gran giorno si avvicinava, negli alloggi degli schiavi si sentiva cantare più gente del solito. Era un canto più baldanzoso, più alto e proseguiva nella notte fino ad ore più tarde. La maggior parte dei versi delle canzoni della piantagione si riferisce in qualche modo alla libertà…. Un uomo forestiero all’aspetto (suppongo un funzionario degli Stati Uniti) tenne un breve discorso e quindi lesse un documento piuttosto lungo, credo il Proclama di emancipazione. Dopo la lettura ci fu detto che eravamo tutti liberi e potevamo andare dove volevamo e quando volevamo. Mia madre, che era in piedi al mio fianco, si chinò su noi bambini e ci baciò, mentre lacrime di gioia le solcavano le guance. Ci spiegò cosa significava quanto era successo, ovvero che questo era il giorno per cui aveva pregato così a lungo, temendo di non riuscire a vivere abbastanza per vederlo.” (B.T.Washington, Up from slavery, 2012, pg.19-20)
E’ solo allora che i neri afroamericani portano la musica fuori dalle piantagioni contaminando la cultura occidentale: gli ex- schiavi musicisti iniziano a portare la loro musica fuori dalle piantagioni e si sviluppano i juke joint, luoghi in cui i neri si trovano per ascoltare musica e ballare dopo la giornata di lavoro.
La musica afroamericana basata della scala pentatonica viene allora ristrutturata utilizzando quella occidentale: la scala blues diventa Do, Mib, Fa, Solb, Sol, Sib, Do; sebbene questa perda alcune note della scala diatonica, conserva quelle che vengono chiamate le blue note, note non riproducibili nella scala europea.
I pianisti del Novecento, davanti alla difficoltà di non poter riprodurre con un singolo tasto la ricercata nota, rispondono con l’ingegno di darne l’idea suonando insieme o una dopo l’altra il Mi e il Mi bemolle e ottenendo quell’ effetto dissonante tipico dei canti africani.
Dissonante a tal punto da definire un intero genere: il termine Blue (che deriva dall’espressione “to have the blue devil”nel senso di essere triste) è infatti connesso al senso di nostalgia e tristezza tipico della musica afroamericana per come viene percepita all’orecchio di uditori europei abituati ad altri suoni.
Il blues nasce in tal senso da un limite fisico della musica occidentale e sappiamo quanto questa spaccatura sia stata fertile: dal blues prenderanno vita il jazz, il rhythm blues, il rock’n’roll e la musica pop.
Dal punto di vista sociale il blues dà un’identità alla popolazione afroamericana legittimando la loro presenza, anche se con notevole lentezza, nel panorama culturale statunitense.
Non solo, il blues garantisce un ruolo di tutto rispetto alle donne che diventano le vere e inaspettate (agli inizi del ‘900 solo in Nuova Zelanda le donne avevano diritto di voto) protagoniste della musica degli anni ’20 e ’30.
Piccola curiosità: Nodoby Knows You When You’re Down and Out (realizzata precedentemente da altri muscisti e cantanti), una delle più celebri canzoni dell’artista viene reincisa da Bessie Smith il 15 maggio 1929 e viene pubblicata venerdì 13 settembre, poco prima del crollo di Wall Steet (Martedì nero: 29 ottobre 1929). Il testo della canzone sembre una sinistra profezia…
Once I lived the life of a millionaire,
spendin’ my money I didn’t care
I carried my friends out for a good time,
buying bootleg liquor, champagne and wine
When I begin to fall so low,
I didn’t have a friend and no place to go
So if I ever get my hand on a dollar again,
I’m gonna hold on to it ‘til them eagle’s grin
Nobody knows you,
when you down and out
In my pocket not one penny,
and my friends I haven’t any…
But if I ever get on my feet again
Then I’ll meet my long lost friend
It’s mighty strange without a doubt
Nobody knows you when you’re down and out
I mean when you’re down and out
When you’re down and out, not one penny
And my friends, I haven’t any and I felt so low
Nobody wants me ‘round their door
Without a doubt
No man can use you when you’re down and out
I mean when you’re down and out
***
Un tempo facevo la bella vita del milionario
Spendevo tutto quel che avevo, non ci badavo affatto
Portavo fuori tutti i miei amici a divertirci
Compravo whiskey, champagne e vino di contrabbando
Poi ho cominciato a cadere così in basso
Ho perso tutti i miei buoni amici, non avevo un posto dove andare
Ho di nuovo messo le mani su un dollaro
Me lo terrò stretto finché non vedrò sorridere l’aquila
nessuno ti conosce
quando sei povero e disperato
In tasca nemmeno una moneta
E per quanto riguarda gli amici, non ne hai nessuno
Quando poi finalmente mi sono rimessa in piedi
ho ritrovato i miei cari, vecchi amici.
è strano senza dubbio
che nessuno ti conosca quando sei povero e disperato.
intendo quando sei povero e disperato.
quando sei povero e disperato, nemmeno un penny,
E per quanto riguarda gli amici, non ne hai nessuno,e ti senti così giù
nessuno ti vuole attorno alla sua porta
senza alcun dubbio,
nessuno ti aiuta quando sei povero e disperato
Intendo quando sei povero e disperato
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.AcceptRead More
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.